capunsei

Capunsèi

Sono chiamati anche “gnocchi di pane”, perché è proprio il pane il loro ingrediente principale. Antichissimo piatto della tradizione contadina mantovana, sono originarie in particolare della zona di Volta Mantovana, a una ventina di chilometri dal Lago di Garda. Nelle circostanti colline moreniche, un angolo di paradiso detto ’piccola Toscana’ si erano insediati gruppi di immigrati tirolesi, e come sappiamo uno dei piatti iconici della cucina tirolese sono i Canederli – dei ‘gnocconi’ di pane.

Un piatto della ‘cucina povera’ – in contrapposizione alla cucina mantovana, scenografica e altolocata del Quattrocento e Cinquecento – che la Regione Lombardia ha inserito nel 2006 nella lista dei suoi piatti tradizionali, ossia “De.C.O.” (Denominazione comunale d’origine), in questo caso tipico delle Colline Moreniche del Garda, appunto.

Una pietanza semplice ma molto sostanziosa, che può essere consumata in brodo o asciutta e condito con burro fuso o ragù.

A seconda delle località delle colline moreniche mantovane, i Capunsei vengono cucinati con diverse varianti; la ricetta che vi presentiamo è quella tradizionale di Volta Mantovana, che prevede l’utilizzo di pochi, semplici, ingredienti.

Con l’occasione, vi voglio raccontare però qualcosa a proposito delle altre. La più particolare è quella di Solferino (sì, proprio il paese dove nel 1859 si è combattuta la famosa battaglia fra l’esercito austriaco e quello franco-sardo che ha posto fine alla Seconda Guerra d’Indipendenza). La variante risale ai tempi dei Gonzaga (che hanno governato dal 1300 al 1700) e prevede l’aggiunta di amaretti sbriciolati all’impasto. La confraternita del Capunsèl di Solferino ha inteso promuoverlo e tutelarlo.

ravioli di zucca

Ravioli di zucca

Nella ricetta proposta da Maria Teresa Ruta oggi, che ha come ospite speciale sua figlia Guenda, ovvero quella dei ravioli di zucca, il ripieno è un po’ diverso dal solito.

Un mix di zucca e amaretto, a cui si aggiungono sale, parmigiano stagionato, per dare un tocco forte. Volendo si possono cremolare con gorgonzola.
Si comincia con un battuto di zucca e ricotta, che vanno amalgamate per poi aggiungere gli amaretti sgretolati.

gnocchi a modo mio

Gnocchi al modo antico

Sono una delle tante ricette di primi piatti, saporiti e sostanziosi, della Carnia, regione di montagne del Friuli Venezia Giulia dove negli ultimi anni – come è successo un po’ in generale- vi è stata infatti una rivalutazione della cucina “povera”, parallelamente alla riscoperta del “mondo verde”. Quella che vi proponiamo oggi è la versione ripiena di salsiccia e formaggi; altra versione è quella all’ortica, in cui quest’erba viene arricchita con uva passa e profumata con cipolla e cannella. Il formaggio Latteria Vecchia è immancabile, ma viene utilizzato solo per arricchire il condimento che, come in questo caso, è burro&salvia. Andiamo allora a scoprire qualcosa di più su questo formaggio. È un formaggio prodotto a partire da latte pastorizzato, è a pasta dura e friabile e con la stagionatura tende a scagliare. Per produrlo si usano gli stessi fermenti usati per il Grana e come il Grana è ottimo per condire, come formaggio da grattugia. Volete provarlo “puro” per assaporarlo in tutta la sua pienezza? Polenta calda e vino rosso! Altro formaggio tipico della ricetta è la ricotta affumicata, che noi siamo più abituati ad associare alle preparazioni meridionali, ma che invece è molto caratteristico anche della Carnia. Viene prodotta mediante una pressatura della ricotta fresca e la sua successiva affumicatura è fatta con fumo di legna di faggio. E poi di tipico abbiamo il pane di segale, un pane fino a pochissimo tempo fa riservato agli abitanti delle nostre montagne e che invece negli ultimi anni si vende sempre di più in tutta la Penisola. È saporito, si conserva a lungo, è ricco di fibre e sazia parecchio. Oggi non è difficile comprarlo anche in città, presso le panetterie più rifornite e anche in supermercati e discount. Attenzione, però: data l’ondata “salutista”, questi cereali alternativi al grano sono spesso pubblicizzati quando compaiono nelle preparazioni e poi si scopre che del suddetto cereale ne è presente una percentuale ridicola! Se trovate il “pane alla segale”, controllate quanta segale c’è! In questo caso, comunque, a differenza di farro, orzo etc, quando la segale domina, si vede a occhio nudo: è un pane davvero bello scuro!

gatto

Gattò di patate

Tradizione vuole che il Gattò sia stato cucinato per la prima volta per un matrimonio. Era il 1768 e si sposavano Maria Carolina d’Austria con Ferdinando IV di Borbone. La futura regina – che con la sua intelligenza avrebbe de facto governato il Regno di Napoli, che sotto la sua guida si elevò a importantissimo centro culturale – per le sue nozze convocò dei cuochi francesi, i “monsieurs”, subito fatti diventare dai napoletani i “monzù”. Gli Chef misero a punto proprio per Napoli, con gli ingredienti presenti sul territorio (burro a parte) il famoso tortino di patate, che da allora non si è mai separato dalla cucina partenopea. Il nome del piatto deriva chiaramente dal francese “Gateau”, che non si riferisce in realtà solo ai dolci ma a preparazioni da forno sia dolci che salate.

Da Napoli in Gattò si è diffuso praticamente in tutto il Sud Italia, con ricette simile e alcune varianti, come quella siciliana, che infarcisce lo stesso impasto del gattò napoletano con ragù di carne.

Che tipo di patate scegliere? Quelle a pasta bianca. Se quelle che avete scelto risultano troppo farinose, stemperate il composto con un poco di latte, come tradizione napoletana vuole.

Sui salumi va a gusti (a me piace con il salame napoletano) mentre per quanto riguarda i formaggi, alla scamorza spesso viene sostituita dalla provola (formaggio dal gusto simile ma dalla forma e il colore diverso), a cui in alcune versioni si aggiunge la mozzarella fior di latte. In ogni caso è imprescindibile che sia presente anche la versione affumicata di uno di questi formaggi. Per il resto: sbizzarritevi con ciò che avete in casa! È ottima anche la versione vegetariana, senza salumi.

Aspettate anche una mezzora prima di servirlo. Si mangia anche freddo – lo potete portare anche in ufficio per la pausa pranzo! Infatti il gattò può fungere da piatto unico piuttosto che da contorno o da secondo; persino da finger food, tagliato a quadratini!

stroncatura

Stroncatura alla n’duja

Il Cirò, vino straordinario calabrese, serve a Maria Teresa Ruta per fare una gustosissima e piccante ricetta con la pasta. La stroncatura alla n’duja oggi viene proposta da Maria Teresa in coppia con la figlia Guendalina, che è venuta a trovarla nei nostri studi!
Brodo e CCirò bolliti sono l’inizio, poi si scioglie la piccantissima n’duja della piana di Gioia Tauro. La stroncatura è un tipo di pasta, dei “maccaruni” piccanti e caserecci.
Il risultato? Tutto da gustare, per chi ama i gusti decisi del Sud!

cassola

Cassola

Un piatto invernale della tradizione lombarda il cui nome deriva probabilmente dal cucchiaio con cui si mescola (casseou) o dalla pentola in cui si prepara (casseruola). La maniera di scriverlo ha molte varianti a seconda della provenienza geografica e della traslitterazione dal dialetto (cassœula, cassœûla ,etc.), tante varianti quante sono quelle dei suoi ingredienti. Il cui concetto è però il seguente: le parti meno nobili (e più economiche) del maiale unite alle verze (che per tradizione si raccolgono solo dopo che hanno preso la prima gelata) e un tocco di concentrato di pomodoro, giusto per ravvivare l’altrimenti grigiastro look della pietanza. Nella variante ricca della Brianza si aggiunge ad esempio la luganega, o salsiccia di Monza, poi le cotenne fresche e uno zampetto di maiale. Nel territorio di Como si usa prepararla con la testina di maiale al posto dello zampetto. Altre varianti prevedono addirittura di carne d’oca (in Brianza si prepara la “Cassola d’anatra”). La verza, ortaggio della stagione fredda, è ricca di antiossidanti e in commercio ne esistono vari tipi. C’è quella rosa con le foglie esterne ben aperte, oppure senza foglie esterne e a forma di palla. Questo tipo di verza è conosciuta anche come cavolo di Milano o Sabauda, dato che è protagonista di molte ricette tipiche inclusa proprio la cassoeula. In questa ricetta compaiono poi i “Verzini”, che nulla hanno a che vedere col suddetto cavolo. Chiamati anche “Salamella fresca”, si tratta infatti di un insaccato fresco di puro suino, tipico di tutto il territorio lombardo. I Verzini sono prodotti con carne e grasso di suino macinati insieme, cui sono aggiunti in fase di lavorazione, sale, pepe e spezie. Hanno una pasta di color rosa chiaro, una lunghezza di 5-6 centimetri e vengono legati a filze da tre pezzi. Di consistenza morbida, i Verzini hanno un sapore dolce e delicatamente speziato. La denominazione di “Verzini” è legata proprio all’uso di questo prodotto con la verza per la preparazione della Cassoeula.

piatto dei poveri

Piatto dei poveri

Il piatto dei poveri nella versione di Maria Teresa Ruta ovvero come risolvere un momento tragico in cucina, quando mancano… gli ingredienti! Quante volte vi sarà capitato?
Maria Teresa Ruta si cimenta con un grande classico: prendete una patata, un po’ di vino avanzato, una testa d’aglio, acciughe e prezzemolo e del pan grattato… e poi naturalmente cuocete della pasta e potrete ottenere un piatto gustosissimo, che somiglia ad antiche ricette siciliane, per prepararla basta seguire i consigli di Maria Teresa nella puntata di oggi.

mattone

Mattone

“Mattone” in Piemonte può essere quasi considerato un termine generico per indicare tutti quei dolci composti da una base di biscotto inzuppato e poi arricchito con una crema. Sono preparati che variano sempre, fatti tradizionalmente con ciò che uno aveva in casa! Il suo parente antico potrebbe essere considerato il Salame del Papa, a base di gallette bagnate nel latte, poi strizzate e impastate con burro, zucchero, tuorli e cacao. La versione con granella di nocciole che vi sto preparando è tipica delle Langhe, regione che ha delle nocciole squisite, non per niente prodotto IGP, ossia a Indicazione Geografica Tipica. Molti non lo sanno, che l’Italia il maggior produttore di nocciole sul mercato internazionale dopo la Turchia. Questo dato, però, non permette di evitare che una buona parte delle nocciole che troviamo sulla nostra tavola sia importato. Indovinate da dove? Dalla Turchia! Che manda nel nostro Paese circa il 15% della sua esportazione… Detto questo, noi abbiamo molte eccellenze nostrane (perché la coltivazione della nocciola va da Nord a Sud). La Nocciola Piemonte Igp (Tonda Gentile Trilobata) è particolarmente apprezzata dall’industria dolciaria per i suoi parametri qualitativi: forma sferoidale del seme, gusto e aroma persistenti dopo la tostatura, elevata pelabilità, buona conservabilità. Parliamo anche di un altro ingrediente della nostra ricetta: i Savoiardi. Prendono il nome dalla regione geografica della Savoia e la loro origine risale al tardo Medioevo. La ricetta fu inventata dal cuoco del Ducato dei Savoia in onore dei reali di Francia in visita a corte di Amedeo VI. Questi biscotti riscossero un grande successo e presero il nome di Savoiardi, diventando il dolce più ambito dagli ospiti di casa Savoia: la casa reale Savoia adottò ufficialmente questi biscotti fregiati con il nome di Savoiardi.

frescarelli

Frascarelli marchigiani

Sono riconosciuti come Prodotto Agroalimentare Tradizionale (PAT) della regione Marche i Frascarelli, una preparazione tradizionale che si è evoluta nel tempo. Si tratta di una sorta di polentina di farina bianca ottenuta con una procedura particolare, che ammirerete per mano del nostro Chef.

Sapete da dove viene il nome “Frascarelli”? Proprio da questa procedura: pare che originariamente dentro la polenta venissero cotti dei grumi di farina ottenuti schizzando gocce d’acqua nella farina stessa utilizzando dei rametti bagnati o frasche che accompagnavano il movimento rotatorio della mano che evitava la formazione dei grumi. Ecco da dove viene il nome frascarello (frasca è anche il bastone usato per girare la polenta). La versione che vi proponiamo è quella originaria, uno di quei “sapori di una volta” che oggi apprezziamo di nuovo e sempre di più.

Nell’evoluzione storica di questa ricetta si aggiunge il riso, alimento certo non comune nelle tavole marchigiane in passato: leggenda vuole che secondo la percentuale di riso nella ricetta si potesse determinare la ricchezza della famiglia. In questa versione arricchita dal riso, i frascarelli vengono chiamati anche Riso in polenta o Riso corco.

Anche il sugo con cui abbiamo scelto di condirli oggi è quello tradizionale. Un “sugo finto” nel senso che, seppur impreziosito da un salume o dal grasso di maiale, non conteneva la carne vera e propria, protagonista invece del “sugo vero”, il sugo delle feste. Sappiate comunque che è totalmente personalizzabile: dalla salsiccia & funghi alla pancetta & speck, e chi più ne ha, più ne metta. Molto interessanti sono anche le versioni vegetariane, con gli spinaci oppure con la zuppa di legumi al posto del pomodoro.

curzul

Curzul al guanciale e scalogno

Cosa si mangia in Emilia Romagna? Ma la tagliatella, naturalmente! I “Curzul” sono tagliatelle lunghe e sottili, dalla forma squadrata, simili ai lacci di cuoio delle scarpe: è proprio a questi ultimi che fa riferimento il termine dialettale “Curzul”. Tradizione vuole che si condiscano con lo scalogno, preferibilmente romagnolo. In questa ricetta sono impreziositi anche dal guanciale e dalla polpa di pomodoro.

Parliamo un po’ dell’uovo, questo super-alimento low cost che rende così gustoso e nutriente questo formato di pasta. Si dice che l’uovo sia “l’alimento perfetto”. Ed è proprio così. Mica per niente le uova vengono prese come punto di riferimento dai nutrizionisti per misurare il valore biologico delle proteine di tutti gli alimenti. Lo sapevate? È proprio così! Ma attenzione: c’è uovo e uovo. La qualità delle uova dipende da come vivono le galline. E non solo la qualità a livello di gusto, ma anche a livello di nutrienti. Parola di scienza. Per questo io vado a cercarmi uova genuine, che so da dove provengono, assicurandomi che le galline vivano e mangino in modo sano. Quando non trovo quelle “del contadino”, scelgo almeno quelle biologiche, che per lo meno garantiscono l’assenza di antibiotici nel mangime delle galline, degli Ogm e uno spazio vitale minimo per ogni animale. A questo proposito: non fidatevi della dicitura “allevate a terra”: nel nostro Paese oramai non vuol dire un bel niente, le galline possono essere ammassate a terra e nutrite con farine di pesce!

E passiamo allo scalogno. Quello di Romagna è un Prodotto a Indicazione Geografica Tipica (IGP) diverso dagli altri scalogni per colore, aroma, sapore. È più delicato e dolce dell’aglio, più intenso e profumato della cipolla, contraddistinto da un inconfondibile colore bruno rossastro. Nella cucina romagnola ha trovato uso diffuso e diversificato come ingrediente di salse, sughi, frittate o come condimento.

Il nome di questa pianta viene da Ascalona, la città palestinese di dove è originario. La zona di produzione nostrana comprende specifici comuni in provincia di Ravenna, Forlì e Bologna. 

fasei

Fasûi e mignàculis

Una zuppa semplice e rincuorante che viene dalla tradizione popolare del Friuli Venezia Giulia, in particolare in Carnia, una regione di montagna antica e fiera.
Il formato di questa minestra è insolito, perché come vedrete è un mix di acqua e farina fatto sgocciolare direttamente nella densa passata di fagioli. Il risultato è che si formano una serie di pezzetti di impasto densi dalle forme irregolari, chiamati lis paveis (farfalle) in Carnia. Poetico, no? A livello tecnico si tratta dell’unico passaggio un po’ delicato della ricetta, perché nel momento in cui versiamo la pastella di acqua e farina nel nostro composto denso e caldo, si aggruma subito, quindi dobbiamo prestare attenzione a far sì che i “grumi-farfalla” siano dei pezzettini e non delle masse di pasta!
E adesso parliamo un po’ dei fagioli, l’ingrediente più sostanzioso della ricetta. Di solito si utilizzano i borlotti, quelli di color rosso screziato. Fanno parte dei legumi, lo sappiamo, che sono un antico e povero ma reale ‘superfood’ – tant’è che la FAO (Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura) aveva dichiarato due anni fa (il 2016) Anno internazionale dei legumi. Sono le proteine vegetali, che fanno bene non solo alla nostra salute, ma anche all’ambiente: le piante di legumi sono infatti ricche di azoto, un ‘fertilizzante naturale’. I residui delle coltivazioni vengono date da mangiare agli animali da allevamento che a loro volta le restituiscono alla Terra…
Il Friuli è una regione decisamente “fagiolizzata”! Ne produce di ottime qualità per vocazione dei terreni e per esigenza del passato; povertà e proteine low cost che con orzo, patate o pasta diventano un piatto unico. La Carnia, poi, è considerata la patria dei fagioli: a Cavazzo Carnico, col suo bellissimo lago, si produce l’antico Fagiolo dal Santissim Tricolore (bianco con una macchia). Lo sapete che in quelle zone i fagioli li mettono persino nei dolci, come i giapponesi?!?

baffo

Baffo con pomodoro

Il “baffo” a Orvieto è il guanciale, che come nome racconta è la guancia del maiale, o meglio il muscolo e dai grassi della sua guancia. Nella città marchigiana -come altrove – è stata storicamente una gustosa alternativa ad altre carni più pregiate. In realtà oggi sappiamo con certezza che il suo contenuto di proteine, minerali e vitamine non è paragonabile a quello della carne…
Che differenza c’è tra guanciale e pancetta? Beh, la pancetta – come ancora una volta il nome indica – viene dalla pancia del maiale. A livello di gusto, il guanciale è più calorico, speziato e consistente della pancetta. Nella ricetta che stiamo preparando può essere sostituito sì, da quest’ultima, o meglio dalla “ventresca di maiale”, un tipo di pancetta di maiale arrotolata, tipica dell’Umbria. Non è la scelta che io vi consiglio: anche se il guanciale è più caro (e non si trova altrettanto facilmente), vale la pena di compralo per provare il “Baffo” originale.
Si tratta di un salume, ma sostanzialmente è un grasso pregiato, quindi è estremamente energetico. Bisogna dire che a livello nutritivo il guanciale non dovrebbe trovare molto spazio nelle nostre diete di odierni sedentari… Il suo consumo quindi deve essere abbastanza eccezionale… come per provare una volta questa ricetta, buona da “leccarsi il baffo”! La consistenza finale di questo piato è talmente perfetta che il “baffo” si può tagliare con un grissino!
E a contribuire alla sua bontà entra in gioco senza dubbio la salvia, la “pianta aromatica del buonumore”. Infatti alla salvia si attribuisce la capacità di contrastare la depressione e migliorare la concentrazione e la memoria: è rivitalizzante, perfetta in caso di esaurimento fisico e mentale.