pignulata

Pignulata

La pignulata, ma anche pignolata o pignoccata palermitana è una ricetta siciliana, dolce tipico di Palermo, preparato solitamente durante il Carnevale.

Pensate che è inserito nella lista dei prodotti agroalimentari tradizionali italiani dal ministero delle Politiche agricole. A dire il vero ha origini arabe, ma ricorda altri dolcetti tipici italiani delle regioni del sud come gli struffoli napoletani, con cui ha in comune per esempio le palline di zucchero colorato con cui la pignulata è decorata.

I due ingredienti principe della ricetta sono lo strutto e il miele. Il primo, che la nostra Matilde Brandi propone in una versione assai edulcorata e quasi “dietetica”, si mescola nell’impasto ma storicamente veniva usata per friggervi il dolce, come accade per tantissime ricette della tradizione dolciaria del nostro Paese.

Il miele va invece sciolto riscaldandolo a fuoco molto lento facendo attenzione a non bruciarlo: una volta fritte le piccole palline di pasta, è necessario occuparsi della parte più ghiotta avvolgendo e rigirando il fritto dentro al miele caldo. E poi via verso la guarnizione e il ghiotto assaggio!

ciambotta

Ciambotta

Piatto unico della tradizione meridionale, e di basso costo, è qui nella versione tipica della Basilicata.

L’uovo, le sue proteine e la sua capacità di amalgamare diversi vegetali ne sono un tratto essenziale. Si tratta di un gustoso piatto stufato lentamente che si prepara in Campania, ma anche in Calabria e Basilicata, con differenze da regione a regione ma anche da paese a paese.

Come la caponata siciliana, altra preparazione simile, oggi viene servita anche come contorno o come antipasto, accompagnata da fette di pane casereccio tostato.

E poi è facilissimo: si prepara in 15 minuti ed è davvero di minima difficoltà, mettendo d’accordo tutti a tavola.

 

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Penchi

Solitamente le ricette non hanno una data né un luogo di nascita preciso, sono il frutto di mescolanze, contaminazioni, invenzioni casuali e quasi sempre anonime. Ogni tanto, però, c’è qualche eccezione. Come per i penchi, la pasta umbra protagonista della ricetta odierna.

Narra la leggenda, che va in questo caso a braccetto con la storia, che alla fine del XV secolo e più precisamente nel 1494, i capitani Paolo e Camillo Vitelli invasero la città umbra di Monteleone per ‘liberare la strada’ al Re di Francia Carlo VIII partito alla conquista del Regno di Napoli. Giunti affamati al castello di Vetranola, chiesero un lauto pasto ma gli abitanti di Monteleone, per convincere gli invasori ad andarsene, decisero di preparare un piatto talmente povero e scotto da suscitare la compassione dei due capitani.

Purtroppo la reazione non fu quella sperata e gli invasori minacciarono di trascinare per i capelli per le strade del borgo tutti gli uomini del paese. La punizione fu sventata dal provvido intervento di una donna che preparò – si dice – una pasta fresca così ricca e così buona da dissuadere i fratelli Vitelli dai loro propositi di vendetta. I penchi, appunto.

E se la ricetta di allora è la stessa di oggi, in cui salsiccia, guanciale, uova e formaggio costituiscono il condimento di questa pasta all’uovo, si capiscono bene motivi della tregua tra invasori e invasi.

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Agnello in fricassea

Una ricetta della tradizione pasquale, che si ripete in varie regioni, tra cui la Liguria (dove si fa di solito coi carciofi). La versione che vi proponiamo è quella umbra: in Umbria non è Pasqua senza agnello! E tutte le nonne umbre lo preparavano in vari modi, tra cui nella ricetta ‘in fricassea’, appunto, che a volte è chiamata anche “agnello brodettato” (soprattutto nella sua versione romana). La ricetta dell’agnello in fricassea viene proposta oramai nell’intero arco dell’anno.

La fricassea è un termine gastronomico che deriva dal francese “fricasser”, una combinazione di “frire”, friggere, e “casser”, spezzare, frantumare. Si tratta di un tipo di cottura in casseruola che viene di solito usato con la carne, di agnello, pollo o coniglio a pezzi, tagliata in stile spezzatino. I pezzi di carne vengono soffritti in burro e cipolla, a cui vengono aggiunti i rossi d’uovo e il succo di limone. La carne di agnello (che è una giovane pecora o montone, di al massimo 12 mesi) è una carne ad alto valore biologico e può essere annoverata tra le carni magre. La sua magrezza, in realtà, dipende molto dal taglio che scegliamo: molte parti sono in realtà grasse e per dunque vanno consumate con moderazione.

È per questo, unito al fatto che si tratta del cucciolo di un animale, che io mi concedo e gusto l’agnello solo in casi eccezionali. Anche per quanto riguardo le uova, mangio con coscienza. Le uova sono davvero l’alimento perfetto. Come per la carne e per il latte, scelgo quelle biologiche. Se l’animale sta bene, anche noi stiamo bene: tutte le ricerche scientifiche confermano che le uova bio sono nettamente superiori alle altre, non solo a livello di gusto, ma anche di principi nutritivi: in particolare contengono più Omega3 e vitamine A ed E.

crostata

Crostata di frutta

La crostata può essere fatta in diversi modi e con più farciture, dalla frutta, alla ricotta al cioccolato. La crostata può essere cotta nei caratteristici stampi tondi zigrinati, o può assumere una forma quadrata o rettangolare, quando viene preparata per il consumo nelle feste di compleanno o nei buffet.

I racconti che riguardano questo dolce, sono diversi, sembra che una preparazione simile a base di pasta frolla fosse conosciuta a Venezia, dopo l’anno mille, quando si cominciò ad utilizzare lo zucchero importato dall’Oriente. Secondo questa fonte la prima ricetta codificata risale al XIV sec.

La crostata è quindi, forse, il dolce italiano più antico, in quanto non esiste un riferimento non storico preciso da cui si possa trarre la sua genesi: la tradizione popolare, riporta anche una leggenda che lo fa risalire già prima dell’era cristiana.

Questo dolce di origine “povera” ebbe molta fortuna nel corso della storia, tanto da arrivare anche sulle tavole dei nobili fino a raggiungere la corte dei Borboni. Si narra infatti che fosse l’unico dolce in grado di far sorridere la regina Maria Teresa D’Austria, moglie del re Ferdinando II di Borbone, soprannominata “la Regina che non sorride mai”.

 

barchiglia

Barchiglia

Una golosa frolla ripiena di mandorle e marmellata di pere e ricoperta di cioccolato, che viene dalla Puglia. Una crostata ricca, tradizionalmente legata al periodo della Pasqua.

Barchiglia” è il termine che si usa per definire la formella di rame in cui si preparava il più noto Pasticciotto, che è parente di un altro dolce salentino tipicissimo, il Fruttone, di cui la Barchiglia è praticamente una versione di grosse dimensioni. Unica differenza:in certe versioni di Fruttone nelripieno c’èla marmellata di cotogne o quella di amarene al posto di quella di pere, che rimane comunque la favorita.

Barchiglia e Fruttone (che oggi, come il pasticciotto, si definirebbe un ’monoporzione’) sono dolci antichi e molto nutrienti.

Tra gli ingredienti che contribuiscono a renderla tale ci sono sicuramente in primis le . Scopriamo qualcosa di più su questa frutta a guscio. Le mandorle sono preziosissime soprattutto per le donne e in particolare nei cambi di stagione, quando stanchezza e spossatezza possono prendere il sopravvento. Sono frutti che ricaricano l’energia, e in questo caso sono abbinate al cioccolato fondente, un vero antidepressivo! Totale: avete bisogno di tirarvi un po’ su? Mettetevi ai fornelli e cucinate – e poi gustate, naturalmente! – una bella Barchiglia (che, tra l’altro pur essendo così ricca è anche facile da preparare).

Tornando alle mandorle, sono infatti ricche di magnesio: io me ne tengo sempre una manciata in borsetta!

Passiamo alle pere: sono un frutto mediterraneo, ne esistono ben 115 varietà e l’Italia è il secondo produttore al mondo. I giovani italiani, però, le snobbano… un vero peccato! Tra le centinaia e centinaia di dolci frutti che Madre Terra ci dona, le pere non hanno certo un posto in seconda fila! Sono ricche di nutrienti, aiutano il nostro sistema immunitario e ce ne sono per tutti i gusti! In cucina si abbina bene anche coi salati, infatti la marmellata di pere è squisita anche con i formaggi: da provare! Con la marmellata che vi avanzerà dalla preparazione della vostra Barchiglia …

 

schnitte

Schnitte o “pane fritto”

Schnitte è una parola di lingua tedesca che letteralmente significa fetta. E in effetti di una fetta si tratta: una fetta di pane vecchio avanzato che viene fritto e guarnito per una ricetta povera ma gustosa del Friuli Venezia Giulia.

Tipica delle famiglie contadine, altamente calorica e nutritiva ma con ingredienti semplici presenti in cucina come zucchero, uova, burro, latte.
Il pane avanzato e ormai secco veniva tagliato, passato nel latte con lo zucchero, poi nell’uovo, nel pan grattato e poi fritto.

Le versioni sono poi molte: quella dolce viene poi accompagnata da marmellata di ogni tipo oppure da granelli di zucchero, ma è possibile anche trovarne versioni salate, come racconta e illustra Matilde Brandi nella puntata di Chef per passione di oggi. In questo caso il latte non sarà zuccherato, e la guarnizione sarà con burro e acciughe sott’olio.

ribollita

Ribollita

Il nome di questa zuppa deriva dal fatto che va preparata preferibilmente il giorno prima del consumo; prima di servirla, va rimessa sul fuoco appunto a “ribollire” per una decina di minuti. Questa procedura è coerente con quanto avveniva anticamente quando sul fuoco c’era sempre la minestra che, avanzata, veniva via via allungata e integrata via via con ingredienti nuovi.

Come si prepara? In un tegame di coccio rosolare nell’olio le cipolle, le carote e il sedano tagliati a fettine, far insaporire, quindi unire i pomodori spezzettati e le verdure tagliate a striscioline. Nel frattempo avremo cotto i fagioli dopo averli tenuti a mollo per dodici ore. Prendere una metà abbondante dei fagioli e passarli al setaccio direttamente nella loro acqua, versare il tutto nel tegame delle verdure e cuocere, molto lentamente, per circa un’ora, aggiungendo, se necessario, ancora un po’ d’acqua. Prima di togliere dal fuoco, unire anche i fagioli interi. Mettere sul fondo di una zuppiera qualche fetta di pane, versarvi sopra metà della zuppa, poi altre fette di pane e sopra ancora il resto della zuppa. Servire con un filo d’olio a crudo.

blecs

Blecs

I blecs originari del Friulia Venezia Giulia, sono un tipo di pasta simile al maltagliato. Storicamente, negli antichi ricettari, i blecs venivano normalmente conditi semplicemente con strutto, oppure in via eccezionale con ricotta affumicata o burro fuso, come ci ha proposto Matilde nella puntata di chef, con l’aggiunta di un po’ di salvia.

In tempi più recenti, molto utilizzato, è l’abbinamento con i sughi di carne. Una ricetta molto semplice e povera che rappresenta l’unico formato di pasta “secca” del Friuli, oltretutto, ad oggi, non facilmente reperirli nella ristorazione classica.

Questa specialità, un tempo piatto delle feste, può presentarsi in varie forme: triangolare, quadrato o tagliati a rombo. Insomma, i blecs, ci permettono di dare sfogo alla fantasia tra forme e condimenti.

cianfotta

Cianfotta faicchiana

Una ricetta della regione Campania è la cianfotta faicchiana: facile da preparare, è una sorta di caponata con zucchine, peperoni, melanzane, patate e tanti sapori.

Anzi, potremmo definirla una ratatouille alla francese, una di quelle pietanze che è anche un comfort food, e richiama i gusti di casa, come ci ricorda il noto critico enogastronomico protagonista, insieme al topino-chef, del cartone cult “Ratatouille”.

In Sicilia è la caponata, a Napoli è cianfotta, o altrove a sud è chiamata anche ciambotta. Il termine significa semplicemente “miscuglio”.

La cianfotta è colorata e sostanziosa, ottima su una bruschetta, come contorno, calda e fredda.

Ce ne sono diverse versioni in tutto il meridione italiano, in Puglia per esempio c’è una versione a base di pesce. Mentre in alcuni luoghi campani si cucina anche con la carne (manzo) e si insaporisce, oltre che con sapori e spezie, anche con del peperoncino per dare una sferzata di… gusto deciso.

baccala

Baccalà alla aquilana

Una ricetta un po’ impegnativa per un piatto forte e ricco, dal sapore antico, che ci ripaga dalle fatiche ai fornelli (che non sono poi così esagerate, non preoccupatevi!). In Abruzzo è il ‘profumo’ delle feste di paese e delle sagre. Un piatto dove tradizione marinara e quella montana si intrecciano in un’unica cultura, che è quella mediterranea. Dato che il baccalà, pur essendo storicamente una delle principali esportazioni dei Paesi del Nord Europa, da secoli è entrato nella cultura gastronomica del Mare Nostrum.

E parliamo proprio dell’ingrediente principale di questa ricetta, il baccalà, appunto. Da non confondersi con lo stoccafisso, per carità! Certo, la base è sempre lui, il merluzzo dell’Atlantico, un pesce dalla carne bianca e dal gusto delicato (da fresco). Il metodo di conservazione, però, è molto diverso: il baccalà è conservato sotto sale, lo stoccafisso è essiccato. Certo, a confondere noi profani ci ha messo lo zampino la regione Veneto, famosa per le sue ricette a base di baccalà, dove però i termini s’invertono. Lì il baccalà è lo stoccafisso nel resto d’Italia. Ma in questa ricetta siamo in Abruzzo, ben piantati al centro della penisola, dunque il baccalà in questione è il merluzzo conservato sotto sale.

Un cibo ricco di proteine nobili e di altri principi nutritivi benefici tra cui varie vitamine e sali minerali. Un prodotto solo apparentemente calorico poiché il baccalà pronto da cucinare dovrebbe avere le stesse calorie del merluzzo fresco. E a proposito di merluzzo: attenzione! A furia di pescarli, in oceano ce ne sono sempre meno, quindi a volte il ‘baccalà’ è il frutto della lavorazione di pesci atlantici appartenenti ad altre specie. In questa ricetta si abbina ad altri ingredienti genuini e golosi, tra cui l’aglio, i pomodori, le olive e i pinoli. Anche per quanto riguarda questi ultimi bisogna stare attenti alla qualità: il mercato è oramai invaso da quelli cinesi, più economici, certo, ma decisamente meno validi di quelli nostrani a livello di gusto.

fegato veneziana

Fegato alla veneziana

Il suo sapore forte non lascia spazio a mezze misure: o piace, o non piace. Ma chi ne è goloso, ne è goloso assai! E pensare che un tempo il suo gusto era ancora più forte, perché al posto del fegato di vitello o vitellone, si utilizzava quello di maiale. Un piatto della tradizione veneta che ha conquistato il mondo, la cui origine può essere fatta risalire all’epoca romana in cui si usava cucinare il fegato insieme ai fichi per coprirne l’odore un po’ forte. Nei secoli, i Veneziani sostituirono i fichi con la cipolla, che da ricetta deve essere rigorosamente quella bianca di Chioggia. In ogni caso, vanno scelte le cipolle bianche, più pungenti delle altre (ma che si addolciscono con la cottura) e dalla consistenza più croccante.

Il fegato alla veneziana è un piatto molto sano: le cipolle, alla faccia di chi le considera un alimento ‘umile’, sono un vero ‘superfood’ alla portata di tutti, oltre che a essere un ingrediente sempre più gourmet e amato dagli Chef. Sono cariche di antiossidanti e svolgono un’azione antitumorale. Cosa le rende alleate della nostra salute! Lo zolfo! Che è alla base delle loro componenti benefiche. Discorso simile vale per il fegato, che tecnicamente si annovera tra le frattaglie, parti dell’animale spesso considerati scarti. Ebbene, il fegato bovino è classificato nel I° gruppo fondamentale degli alimenti, per la grande quantità di proteine ad alto valore biologico, minerali e vitamine che apporta.

La ricetta del Fegato alla Veneziana ha subito molte variazioni nel corso della storia (tra cui la variante ‘alla vicentina’, che utilizza il vino bianco al posto dell’aceto). Oggi si preferisce cuocere separatamente le cipolle e il fegato, così che ognuno segua la sua cottura per la consistenza perfetta, per poi unirli alla fine nella padella per amalgamarne i sapori.